Flora - Attract - Attività produttive - Comune di Quistello (MN)

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CARATTERISTICHE VEGETAZIONALI

 

TIPOLOGIE VEGETAZIONALI PRESENTI

 

L’analisi delle vegetazione all’interno del territorio del parco ha condotto all’individuazione dei seguenti tipi vegetazionali:

 

?  macchie boscate e boschi igrofili a dominanza di Salice bianco (Salix alba);

?  impianti arborei razionali (pioppeti, vigneti ed, in misura molto minore, frutteti e noceti);

?  vegetazione dei corpi idrici minori (fossi, scoli, ecc.);

?  incolti igrofili a struttura erbacea costituiti in prevalenza da formazioni a dominanza di Cannuccia di palude (Phragmites australis);

?  prati da sfalcio.

 

L’analisi fitosociologica ha evidenziato le seguenti unità:

 

Lemnetea minoris Tuxen 1955 ex O. Bolòs et Masclans 1955

Lemnetalia minoris Tuxen 1955 ex O. Bolòs et Masclans 1955

Lemnion minoris Tuxen 1955 ex O. Bolòs et Masclans 1955

 

Phragmitetea Tuxen et Preising 1942

Phragmitetalia W. Koch 1926

Phragmition W. Koch 1926

 

Bidentetea tripartitae Tuxen, Lohmeyer et Preising 1950

Bidentetalia tripartitae Braun-Blanquet et Tuxen 1943

Chenopodion fluviatilis Tuxen ex Poli et Tuxen 1960

Polygono-Xanthietum italici Pirola et Rossetti 1974

 

Querco-Fagetea Braun ?Blanquet et Vlieg. In Vlieg 1937

Populetalia albae Braun-Blanquet 1931

Alno-Ulmion Braun-Blanquet et Tuxen 1943

 

 

 

MACCHIE BOSCATE E BOSCHI IGROFILI

 

I boschi ripariali con dominanza di Salice bianco (Salix alba) sono la vegetazione naturale tipica dei fiumi padani e rappresentano una delle presenze più cospicue di vegetazione forestale nella pianura padana coltivata in maniera intensiva.

Nel territorio del Parco  sono limitati, purtroppo, alla fascia ripariale più vicina all’alveo fluviale.

Le formazioni sono costituite nella maggior parte dei casi da esemplari giovani, come dimostrano l’elevato numero di individui che caratterizzano lo strato arboreo e il loro ridotto diametro dei tronchi.

Nello strato arboreo si possono inoltre trovare Pioppi bianchi (Populus alba), Pioppi neri (Populus nigra), anche di origine ibrida, e Robinia (Robinia pseudoacacia), mentre risultano molto rari, anche se presenti, i Gelsi (Morus alba), gli Olmi campestri (Ulmus minor) e le Farnie (Quercus robur), di cui sopravvivono fortunatamente alcuni esemplari di grandi dimensioni.

Lo strato arbustivo, dove presente, sono costituite nella maggior parte dei casi dall’Indaco bastardo (Amorpha fruticosa), specie di origine americana ormai naturalizzata nella pianura padana, e dal Rovo (Rubus caesius).

In alcune aree vi sono anche il Sambuco (Sambucus nigra), il Rusticano (Prunus cerasifera) e assai raramente il Biancospino (Crataegus monogyna).

Lo strato erbaceo è costituito da poche specie come Typhoides arundinacea e Galium elongatum.

Le specie lianose sono costituite dalla Vite (Vitis vinifera), dal Luppolo (Humulus lupulus) e dallo Zucchino americano (Sycios angulatus), specie di origine nordamericana, importata in Italia circa 20-30 anni fa, molto invasiva e con un’enorme capacità di diffusione, grazie alla quale ha ormai colonizzato i boschi golenali di quasi tutto il bacino del Po.

Le caratteristiche sopra elencate indicano una qualità ambientale di queste macchie boscate abbastanza scarsa a causa del degrado operato dall’uomo per motivi idraulici ed agricoli: molto spesso, infatti,  nelle aree di pertinenza del saliceto vengono piantate colture agricole.

Questi boschi sono inquadrabili dal punto di vista fitosociologico nell’ordine Populetalia albae, che contraddistingue la maggior parte delle formazioni boschive igrofili  della pianura padana e della regione medioeuropea.

I boschi igrofili, qualora le condizioni pedologiche siano meno condizionate dalla presenza dell’acqua, tendono ad evolversi al bosco meso-igrofilo dominato dall’Olmo campestre.

All’interno del territorio del Parco occorre ampliare i terreni dove si possano sviluppare i boschi igrofili, favorendo la naturale evoluzione verso un bosco più maturo e stabile, inserendo, ove possibile anche specie arboree ed arbustive mesofile.

 

IMPIANTI ARBOREI RAZIONALI

Anche questo tipo di vegetazione è ampiamente diffuso nelle golene padane, soprattutto per quanto riguarda l’impianto di pioppeti a scopo produttivo: purtroppo l’impianto di tali “boschi artificiali” è quasi sempre preceduto dal taglio del saliceto originario.

Ovviamente questi ambienti sono assai poveri di specie vegetali in quanto le lavorazioni agricole ed i trattamenti fitosanitari effettuati condizionano molto la crescita di specie arbustive ed erbacee.

All’interno dei pioppeti sono frequenti specie erbacee ruderali come l’Acetosella minore (Oxalis fontana), oltre al Rovo  (Rubus caesius), all’Ortica (Urtica dioica), alla Verga d’oro (Solidago gigantea).

All’interno del Parco vi sono alcuni pioppeti ormai in abbandono dove si è sviluppato un sottobosco arbustivo costituito quasi esclusivamente dall’Indaco bastardo: tali aree potrebbero divenire oggetto di progetti di rinaturalizzazione o di riqualificazione ambientale, sostituendo alcuni pioppi di minori dimensioni con specie arboree autoctone di pregio naturalistico e lasciando soltanto i pioppi di maggiori dimensioni.

 

 

 

 

 

VEGETAZIONE DEI CORPI IDRICI MINORI

I corpi idrici a cui si fa riferimento sono costituiti dai fossi, dagli scoli interpoderali e dal Bugno del Conte.

Purtroppo non esistono lanche o piccole zone umide laterali al corso principale del Secchia.

La vegetazione dei fossi e degli scoli interpoderali è costituita dalle idrofite natanti di piccole dimensioni come le Lenticchie d’acqua (Lemna spp. e Spirodela polyrrhiza), che arrivano a volte a ricoprire totalmente la superficie dell’acqua.

Le cenosi sono ascrivibili all’alleanza Lemnion minoris, tipica di acque poco profonde con elevato grado di trofia.

Sui margini umidi dei fossi crescono molto spesso la Sagittaria comune (Sagittaria sagittifolia), la Cannuccia di palude (Phragmites australis) e la Mazzasorda (Typha latifolia).

Attualmente nel Bugno non è presente vegetazione acquatica, forse a causa della profondità dell’acqua che non permette la crescita di elofite sulla riva, o forse a causa di una gestione errata, mentre sulla riva è presente in maniera discontinua una fascia arborea costituita da Pioppo nero e Farnia con esemplari di ragguardevoli dimensioni, la cui tutela deve essere attuata prioritariamente.

Durante la stagione estiva si sviluppano dense popolazioni algali, indicatrici dello stato eutrofico dello stagno.

 

INCOLTI IGROFILI  A DOMINANZA DI CANNUCCIA DI PALUDE

Questi incolti sono nella maggior parte dei casi coincidenti con gli argini maestri e gli arginelli interni.

In queste aree crescono diverse specie erbacee, molto spesso ruderali o sinantropiche: la specie dominante risulta essere la Cannuccia di palude (Phragmites australis), anche se sono presenti molte altre specie come Dactylis glomerata, Lolium multiflorum, Poa trivialis, Arundo donax, Arctium lappa, Urtica dioica, Solidago gigantea, Helianthus tuberosus, Dipsacus fullonum, Calystegia sepium.

La presenza delle suddette specie indica una scarsa qualità ambientale degli incolti ed un continuo rimaneggiamento di questi ambienti da parte delle attività antropiche.

All’interno dell’Azienda agrituristica-venatoria “Argine vecchio”, situato nella porzione terminale del parco, in territorio di San Benedetto Po, sono presenti alcuni incolti “faunistici”, denominati in questo modo perché sono state seminate colture a perdere per il nutrimento di specie faunistiche quali fagiani e lepri.

Tali incolti hanno una notevole importanza dal punto di vista conservazionistico in quanto forniscono risorse trofiche e riparo a numerose specie migratorie di passeriformi.

 

PRATI DA SFALCIO

Sono stati inseriti anche i prati da sfalcio all’interno dei tipi vegetazionali, sebbene non siano considerati una vera e propria coltura agricola, perché costituiscono importanti ambienti per molte specie di insetti e di piccoli vertebrati.

I prati da sfalcio sono costituiti quasi esclusivamente da Erba medica (Medicago sativa), accompagnata ai margini dei campi da diverse specie come Lolium multiflorum, Lotus corniculatus, Salvia pratensis, Galium sp., Centaurea nigrescens, Plantago lanceolata e molte altre.

La gestione dei prati dovrebbe rimanere inalterata nei prossimi anni e forse aumentare a scapito delle colture cerealicole o maidicole all’interno delle golene, poichè mantengono un discreto pregio floristico e naturalistico e presentano indubbiamente un impatto minore rispetto ai seminativi suddetti.

 

  

Vengono elencate di seguito un paio di schede sulle due specie più problematiche dal punto di vista gestionale: l’Indaco bastardo e la Robinia.

 

 

INDACO BASTARDO

L’Indaco bastardo (Amorpha fruticosa), specie di origine nordamericana, venne segnalata per la prima volta in Lombardia nel 1868 nella pianura mantovana da Masè (MASE’ F. 1868 Ricerche botaniche nelle valli ostigliesi. Atti Soc. ital. Sci nat. 11).

Questa specie compare molto spesso nei salici-populeti con coperture abbastanza elevate, essendo favorita dalla relativa luminosità del sottobosco ripariale, anche se regredisce altrettanto facilmente con l’evolversi della vegetazione verso formazioni più mature di bosco: forma lo strato arbustivo insieme al Sambuco (Sambucus nigra) e al Rovo (Rubus sp.).

La diffusione dell’Indaco bastardo risulta assai favorita nelle situazioni ambientali perturbate dalle attività antropiche e si sviluppa in maniera abbondante quando le azioni “di disturbo dell’uomo” si attenuano, come ad esempio nei pioppeti industriali rinselvatichiti o nei campi abbandonati, dove in breve tempo diviene la specie dominante costituendo una copertura fitta ed esclusiva.

Anche in alcune aree delle golene del Secchia si rinvengono amorfeti, dove l’Indaco bastardo è assolutamente dominante (> 70%) e dove crescono anche se in subordine Sambucus nigra, Rubus caesius, Cornus sanguinea, Prunus spinosa fra le specie arbustive, Calystegia sepium, Humulus lupulus e Vitis vinifera fra le lianose, Phragmites australis, Solidago gigantea, Agropyron repens fra quelle erbacee (D’Auria e Zavagno, 2002).

 

 

ROBINIA

 

La Robinia, importata in Europa dall’America settentrionale nel XVII° secolo, si può considerare ormai una specie naturalizzata, che si adatta bene ad un’estesissima varietà di condizioni climatiche e pedologiche.

Lungo le golene fluviali, dove le attività antropiche hanno distrutto i popolamenti naturali o le siepi campestri autoctone la Robinia si è abbondantemente sviluppata ed è stata sfruttata ceduando le piante di maggiori dimensioni e favorendo in questo modo una diffusione della specie ancora maggiore: l’emissione dei nuovi polloni dalle ceppaie o dalle radici superficiali può raggiungere anche valori di circa 10.000 ad ettaro, favorendo una uniforme copertura del suolo, con polloni che raggiungono i 2-3 m di altezza durante il primo anno.

L’intervento migliore, sviluppato da alcuni anni in alcuni parchi regionali lombardi, risulta l’avviamento a fustaia con il taglio dei polloni e delle piante più giovani e la loro sostituzione con specie autoctone adatte alle medesime condizioni pedologiche.

Le siepi e i filari di robinia dal punto di vista ecologico rappresentano ecosistemi poveri e semplificati, caratterizzati dalla scarsità delle specie floristiche e faunistiche: la robinia non presenta una ricca entomofauna associata come ad esempio una quercia, un salice o un frassino.

Tali siepi rappresentano però in alcune aree l’unico relitto rimasto del fitto reticolo di siepi che caratterizzava le nostre campagne sino a qualche decennio fa ed in qualche caso fungono da elementi di collegamento fra le macchie boscate ripariali.

E’ comunque interessante notare che spesso nei vecchi robinieti crescono numerosi arbusti bacciferi importanti per l’avifauna dal punto di vista trofico e che l’intrico di rami spinosi delle giovani robinie offrono rifugio a molti piccoli passeriformi e a molti mammiferi, come lepri, ricci, faine e donnole.

Didascalia della figura:

1)  situazione attuale delle siepi arboree di Robinia;

2)  intervento di diradamento con il taglio di tutti gli individui giovani ed il mantenimento degli individui di maggiore età e di maggiori dimensioni;

3)  effettuare la messa a dimora all’interno delle aree diradate di specie arboree autoctone della Pianura Padana come la Farnia, L’Olmo campestre, il Frassino maggiore, il Pioppo bianco, il Pioppo, mentre ai margini della siepe o della macchia boscata effettuare la messa a dimora di specie arbustive come l’Acero campestre, il Biancospino, il Prugnolo, la Sanguinella, il Pallon di maggio.

Nell’arco di poco tempo le specie messe a dimora prenderanno il sopravvento sulle robinie.

 

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Le tipologie vegetazionali descritte delineano un quadro non troppo ottimistico a causa del degrado degli habitat semi-naturali o para-naturali provocato dalle varie attività antropiche, che possono essere riassunte nell’inquinamento delle acque del Secchia e dei corpi idrici minori, nella gestione meramente idraulica del fiume e nelle coltivazioni intensive presenti nelle golene.

Per quanto riguarda gli aspetti gestionali si rimanda al capitolo conclusivo degli interventi da realizzare per una rinaturalizzazione del territorio del Parco.

Occorre altresì sottolineare la presenza di numerosi ed interessantissimi filari arborei e siepi all’interno dell’area golenale  “Imperiata”, che contribuiscono a costituire un ottimo esempio di agroecosistema “estensivo”: la diversità dei vari micro-habitats presenti all’interno dell’Imperiata dovrà essere mantenuta ed incentivata attraverso la messa a dimora di altri filari e altre siepi e la salvaguardia di quelli esistenti.

All’interno del territorio del Parco e nelle zone limitrofe sono state individuati alcuni esemplari arborei di dimensioni veramente ragguardevoli, come ad esempio un enorme Pioppo bianco nella golena del Po (Comune di Quingentole) o un Gelso cresciuto sull’argine del Secchia nei pressi della Corte Malregolata (Comune di Quistello), o alcuni Pioppi neri vicino al Bugno del Conte (Comune di Quistello) o presso l’argine maestro del Po vicino a Mirasole (Comune di San Benedetto Po): tali alberi dovranno essere protetti da norme o regolamenti che ne vietino l’abbattimento, se non per evidenti motivi di sicurezza per persone e/o cose, e la capitozzatura o la drastica potatura delle branche, che molto spesso preludono alla morte della pianta stessa.

I vecchi alberi fungono da centri di diffusione della biodiversità in quanto ad essi è associato un numero enorme di invertebrati, funghi, muschi, licheni.

 

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